mercoledì 28 aprile 2010

Università, il 3+2 non è da buttare


di Fabio Berton e Daniele Bondonio

Con il Referto sul sistema universitario pubblicato lo scorso 19 aprile, la Corte dei Conti assolve all’obiettivo di "offrire al Parlamento un quadro conoscitivo degli attuali profili finanziari e gestionali del sistema universitario” (p. 10) e sancisce il sostanziale fallimento della riforma dei corsi di studio universitari – quella che prevede l’articolazione dei titoli in lauree triennali e lauree specialistiche (il cosiddetto "3+2") nonché l’introduzione del sistema dei crediti – che, secondo il referto, “non ha prodotto gli effetti attesi, soprattutto per una mancata visione d’insieme" (p. 101). La Corte denuncia soprattutto la "proliferazione dei corsi di studio attivi" (p. 104) e delle "sedi decentrate, le quali oltre a far lievitare i costi dell’intero sistema di finanza pubblica, rispondono spesso in modo inefficace alla domanda di formazione attesa" (p. 106). Un giudizio siffatto sull’attuale assetto del nostro sistema universitario – tenuta in conto l’autorevolezza della fonte – contribuisce evidentemente a creare il capitale politico necessario per procedere a nuove riforme, alcune delle quali sono peraltro già in cantiere.

Non tutto della riforma "3+2" è però da buttare. Lo dimostra l’analisi dei dati sulle immatricolazioni e iscrizioni trasmessi annualmente al ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca dai nuclei di valutazione degli atenei. Quando la valutazione degli effetti è prodotta con un approccio che si preoccupi di evidenziare l’impatto della riforma rispetto ad una stima di cosa sarebbe successo al mondo universitario italiano senza la sua introduzione – e non soltanto di registrare ciò che è avvento dopo la sua implementazione – emergono infatti ulteriori risultati1. In primo luogo è vero, da un lato, che con la riforma è cresciuto il numero dei corsi di laurea. Dall’altro lato è anche vero, però, che, nella prima fase di attuazione della riforma, e cioè fino al 2004, la strategia di diversificazione delle facoltà è stata premiata con un aumento di quasi il 3% del tasso di crescita degli immatricolati per ogni corso di laurea aggiuntivo.

Nello stesso periodo l’introduzione del sistema "3+2" ha prodotto un incremento del tasso di crescita degli immatricolati compreso tra l’8,3% e il 9,6% nel primo anno di riforma, e tra 12,2% e il 14,7% nel secondo, sempre rispetto ad una stima del trend di immatricolazioni che si sarebbe registrato con la permanenza del precedente assetto universitario. A tali aumenti non è seguita, fino al 2004, alcuna successiva contrazione del livello di immatricolazioni. In confronto con la proiezione del trend riscontrabile con il vecchio assetto, la riforma è stata poi responsabile di un significativo aumento dei tassi di permanenza degli studenti all’interno delle facoltà nelle quali si erano iscritti (aumento dell’ordine del 30% se calcolato a due anni dall’iscrizione, del 15% se calcolato a tre) nonché di una crescita (quantificabile tra il 6% e il 25% a seconda dell’indicatore) del tasso di immatricolati che si laureano in corso.

Questi risultati, registrati in una prima fase di attuazione della riforma, costituiscono una stima attendibile dei suoi effetti netti per quanto concerne il trend delle immatricolazioni, il tasso di permanenza degli studenti nei percorsi di studio e la percentuale di essi che si laurea in corso. Ciò in quanto, per tale periodo, ha buona validità il confronto con la proiezione di quanto si sarebbe registrato con il precedente assetto universitario; elemento, questo, che serve a distinguere meriti e demeriti della riforma da variazioni che si sarebbero comunque prodotte anche in assenza di quest’ultima e a questa non imputabili. Ci sembra pertanto che in un paese, come l’Italia, affetto da un cronico deficit di scolarizzazione, la riforma del “3+2” abbia prodotto effetti positivi che non andrebbero sacrificati sotto la scure del mero contenimento dei costi. Perseguire l’efficienza nella gestione e nell’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche è lodevole; identificarla con il risparmio ad ogni costo, può essere pericoloso.

1 commento:

uniroma.tv ha detto...

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