martedì 19 ottobre 2010

La bozza delle indicazioni nazionali per i Licei

Dal sito di Orizzonte scuola clicca qui

venerdì 10 settembre 2010

Il testo del decreto sulla formazione degli insegnanti

per consultare clicca qui (dal sito "Orizzonte scuola")
DI MARCO LODOLI
repubblica.it

È naturale che un uomo di oltre cinquant´anni non capisca una ragazzina di quindici. I film che vedo, la musica che ascolto, per loro non esistono. Hanno tagliato i ponti con gli adulti.

Lunedì comincerò il mio trentesimo anno di insegnamento: era il 1980 quando entrai per la prima volta in classe e ricordo ancora bene quella lezione, preparata con cura e spavento, sul viaggio ultraterreno di Dante ma più in generale sul viaggio nella letteratura. In un´ora passai da Don Chisciotte a Pinocchio, da Rimbaud a Kerouac, dal Sorpasso a Pollicino, con una smania infinita di spiegare, di emozionare.



Avevo ventitré anni, leggevo dalla mattina alla sera, speravo che nei libri ci fosse tutto ciò che mi mancava: e quello che trovavo, subito lo comunicavo ai miei studenti, come un bene prezioso da condividere. Ero convinto che la bellezza, la poesia, la ricerca di senso riguardassero tutti gli adolescenti del mondo: che serve avere sedici se non si guarda in alto ? Così mi dicevo, ma in realtà neanche me lo dicevo: ne ero certo. I ragazzi ascoltavano la musica che piaceva anche a me, i Talking Heads, i Cure, gli Smiths, i cantautori italiani, parlavano di calcio e di politica e di niente, e io li capivo. Insegnavo anche alle serali, a giardinieri più vecchi di me, e dopo aver letto una poesia di Pascoli o un racconto di Cechov ne parlavamo insieme, avevamo una lingua comune per scambiarci opinioni, anche per litigare. E gli anni, una settimana dopo l´altra, sono passati. Io ero sempre l´insegnante giovane, scapigliato, quello con la Vespa anche se diluvia, quello con i jeans bucati e persino con i dread, per un certo periodo. Per me capire i ragazzi era facile, anche se cambiavano i gruppi musicali, i film al cinema, i modi di vestirsi – come fosse sempre primavera. Qualche volta mi ritrovavo alunni o ex-alunni alle presentazioni dei miei libri, e loro erano orgogliosi di me e io di loro, ci davamo qualche pacca sulla spalla, imbarazzati, contenti.

Ora tutto è cambiato. È ovvio che sia così, mi dico, è normale che un uomo di cinquantatré anni non capisca una ragazzina di quindici. Metto le mani sul vetro, cerco di sbirciare, ma è tutto appannato, non si vede niente. Ai ragazzi parlo di letteratura, ma ormai è una lingua perduta, come il latino o l´aramaico. Parlo anche di cinema e di musica, ma i film che io vedo per loro non esistono, la musica che ascolto è muta. Non c´è alcuna contestazione, nessuno pensa che io sia in torto, che difenda chissà quale ordine infame: semplicemente questi ragazzi hanno tagliato i ponti con gli adulti. Prima la barca era una sola, ci si stava sopra tutti insieme, magari cercando di buttare di sotto i nemici: ora ogni generazione ha la sua scialuppa di salvataggio. Il marketing ha diviso la società in target. Ciò che interessa un trentenne non interessa un sedicenne. I miei studenti di periferia ascoltano i cantanti neomelodici napoletani, i rapper autoprodotti di Tor Bella Monaca, odiano il cinema perché bisogna stare due ore zitti e al buio, non fanno sport, chattano, passano il sabato nei centri commerciali. Ho alunni che spediscono trecento sms al giorno, tranquillamente. E allora uno ci prova ancora: On the road e Cervantes, i boschi dei fratelli Grimm e la selva oscura, il viaggio dietro a Moby Dick, la fuga di Gauguin fuori dal mondo, ma ascoltano in pochi, forse in certi momenti proprio nessuno, e così a tanti insegnanti viene lo scoramento. Perdiamo gli alunni e acquistiamo montagne di carte da riempire, labirinti in cui confondersi.

Trent´anni di disprezzo per la cultura – roba da poveracci, da infelici – hanno portato a questo: a un paese povero e infelice. Ma io non mollo, continuo a indicare ai miei studenti un punto più in alto, dove l´aria è migliore, dove si vede meglio il mondo.

Marco Lodoli
Fonte: www.repubblica.it
9.09.2010

mercoledì 28 aprile 2010

Università, il 3+2 non è da buttare


di Fabio Berton e Daniele Bondonio

Con il Referto sul sistema universitario pubblicato lo scorso 19 aprile, la Corte dei Conti assolve all’obiettivo di "offrire al Parlamento un quadro conoscitivo degli attuali profili finanziari e gestionali del sistema universitario” (p. 10) e sancisce il sostanziale fallimento della riforma dei corsi di studio universitari – quella che prevede l’articolazione dei titoli in lauree triennali e lauree specialistiche (il cosiddetto "3+2") nonché l’introduzione del sistema dei crediti – che, secondo il referto, “non ha prodotto gli effetti attesi, soprattutto per una mancata visione d’insieme" (p. 101). La Corte denuncia soprattutto la "proliferazione dei corsi di studio attivi" (p. 104) e delle "sedi decentrate, le quali oltre a far lievitare i costi dell’intero sistema di finanza pubblica, rispondono spesso in modo inefficace alla domanda di formazione attesa" (p. 106). Un giudizio siffatto sull’attuale assetto del nostro sistema universitario – tenuta in conto l’autorevolezza della fonte – contribuisce evidentemente a creare il capitale politico necessario per procedere a nuove riforme, alcune delle quali sono peraltro già in cantiere.

Non tutto della riforma "3+2" è però da buttare. Lo dimostra l’analisi dei dati sulle immatricolazioni e iscrizioni trasmessi annualmente al ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca dai nuclei di valutazione degli atenei. Quando la valutazione degli effetti è prodotta con un approccio che si preoccupi di evidenziare l’impatto della riforma rispetto ad una stima di cosa sarebbe successo al mondo universitario italiano senza la sua introduzione – e non soltanto di registrare ciò che è avvento dopo la sua implementazione – emergono infatti ulteriori risultati1. In primo luogo è vero, da un lato, che con la riforma è cresciuto il numero dei corsi di laurea. Dall’altro lato è anche vero, però, che, nella prima fase di attuazione della riforma, e cioè fino al 2004, la strategia di diversificazione delle facoltà è stata premiata con un aumento di quasi il 3% del tasso di crescita degli immatricolati per ogni corso di laurea aggiuntivo.

Nello stesso periodo l’introduzione del sistema "3+2" ha prodotto un incremento del tasso di crescita degli immatricolati compreso tra l’8,3% e il 9,6% nel primo anno di riforma, e tra 12,2% e il 14,7% nel secondo, sempre rispetto ad una stima del trend di immatricolazioni che si sarebbe registrato con la permanenza del precedente assetto universitario. A tali aumenti non è seguita, fino al 2004, alcuna successiva contrazione del livello di immatricolazioni. In confronto con la proiezione del trend riscontrabile con il vecchio assetto, la riforma è stata poi responsabile di un significativo aumento dei tassi di permanenza degli studenti all’interno delle facoltà nelle quali si erano iscritti (aumento dell’ordine del 30% se calcolato a due anni dall’iscrizione, del 15% se calcolato a tre) nonché di una crescita (quantificabile tra il 6% e il 25% a seconda dell’indicatore) del tasso di immatricolati che si laureano in corso.

Questi risultati, registrati in una prima fase di attuazione della riforma, costituiscono una stima attendibile dei suoi effetti netti per quanto concerne il trend delle immatricolazioni, il tasso di permanenza degli studenti nei percorsi di studio e la percentuale di essi che si laurea in corso. Ciò in quanto, per tale periodo, ha buona validità il confronto con la proiezione di quanto si sarebbe registrato con il precedente assetto universitario; elemento, questo, che serve a distinguere meriti e demeriti della riforma da variazioni che si sarebbero comunque prodotte anche in assenza di quest’ultima e a questa non imputabili. Ci sembra pertanto che in un paese, come l’Italia, affetto da un cronico deficit di scolarizzazione, la riforma del “3+2” abbia prodotto effetti positivi che non andrebbero sacrificati sotto la scure del mero contenimento dei costi. Perseguire l’efficienza nella gestione e nell’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche è lodevole; identificarla con il risparmio ad ogni costo, può essere pericoloso.

mercoledì 10 febbraio 2010

Musica-scuole secondarie di Mario Piatti

Con l'emanazione del Regolamento recante “Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo didattico dei licei ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133", si prende atto che:

1. "Musica", intesa come disciplina di studio e come esperienza formativa, viene bandita dal curricolo formativo di tutti gli studenti delle scuole secondarie superiori, smentendo quel "Fare musica tutti" che costituiva l'obiettivo proposto dal "Comitato nazionale per l'apprendimento pratico della musica", Comitato per altro istituito con atto ministeriale e riconfermato di recente anche dal Ministro Gelmini. Alcuni insegnamenti musicali vengono relegati tra gli "Insegnamenti attivabili sulla base del Piano dell'Offerta Formativa nei limiti del contingente di organico assegnato all'istituzione scolastica". Come dire: forse, chissà, se ci saranno soldi (quindi mai), ecc. ecc.
Su questo punto, prendendo atto realisticamente della situazione di fatto, occorre attivare una mobilitazione degli studenti e delle famiglie perché si apprestino a richiedere l'attivazione degli insegnamenti musicali da inserire nel POF e a pretendere che gli USR attribuiscano il dovuto contingente di organico. In attesa di tempi e governi migliori...

2. Viene attivato il "Liceo musicale e coreutico", ma nel limite di 40 sezioni musicali e 10 coreutiche su tutto il territorio nazionale, come a dire circa un migliaio di possibili studenti sparsi non si sa bene ancora in quali sedi, e comunque attivate in "convenzione" con i Conservatori di musica, ovviamente senza oneri aggiuntivi per le Istituzioni: cioè a dire, a costo zero. Ma chi paga allora?

A questo punto lancio una proposta che, se si vuole, si potrebbe qualificare di "disobbedienza civile": I CONSERVATORI DI MUSICA E GLI ISTITUTI MUSICALI PAREGGIATI SI RIFIUTINO DI ATTIVARE CONVENZIONI con gli istituendi Licei musicali e coreutici (la legge non li obbliga, e penso che nessuno - nè i Docenti, nè i Direttori, nè i Consigli Accademici, nè i Consigli di Amministrazione - debba cedere a ricatti o pressioni indebite, da qualsiasi parte provengano).
Costringeremmo quindi il Governo (che tanto si vanta di voler perseguire efficienza ed efficacia!) a predisporre gli atti necessari a far sì che tali Licei musicali vengano attivati come si dovrebbe: a) individuazione e predisposizione di sedi idonee dal punto di vista degli spazi (acusticamente adeguati) e delle attrezzature necessarie (strumenti musicali - pianoforti, organi, clavicembali, ... nuove tecnologie, ecc. -, biblioteche attrezzate con partiture, dischi, libri, ecc.); b) reclutamento di personale specifico, tenendo conto, nell'ordine, di: 1. personale che da anni insegna musica nelle scuole secondarie superiori e inferiori; 2. musicisti con competenze musicali e didattiche specifiche per le diverse discipline, verificate attraverso un concorso per titoli; 3. nuovi docenti da abilitare attraverso percorsi formativi adeguati.
Ribadisco: UN ATTO DI CORAGGIO DA PARTE DELLE ISTITUZIONI AFAM: RIFIUTARE LE CONVENZIONI.
Ai politici, agli amministratori, al parlamento, al governo chiediamo ascolto.
La musica non è solo un passatempo. E' un formidabile mezzo di formazione umana e civile per la democrazia e la libertà.
Mario Piatti
PS
Tale comunicazione può essere diffusa con ogni mezzo da chiunque la condivida o da chiunque intenda contestarla.